Celebrazione del 4 novembre


Domenica 4 novembre 2018

Inizia quasi in sordina, timidamente l’Inno alla Gioia interpretato al flauto dai ragazzi di classe 5^ Primaria durante la celebrazione del centenario della fine della Grande Guerra. Dopo la lettura dei nomi dei caduti, sono note che aprono alla vita e alla speranza: cento anni dalla fine del conflitto, cento anni in cui si sono susseguite altre guerre e ancora tante sono state le vittime e continuano a esserci.

Quando gli Alpini entrano nelle classi 5^ fanno una premessa ai loro interventi: “Vogliamo abolire due parole dal nostro vocabolario, guerra e nemico”, sostituendole con pace e amico.

Queste sono le parole che vorremmo entrassero nel vocabolario dei capi di stato e di governo e in quello nostro quotidiano. Ricordare, commemorare, celebrare è un dovere civile ma ai nostri ragazzi vorremmo non si parlasse più di confine, di conquista, di offesa o di difesa. Ci piace pensare che le nuove generazioni parlino un linguaggio comune a tutti i ragazzi d’Europa e del mondo. Un linguaggio condiviso, inclusivo, senza barriere. La storia è scandita da date di inizio e di fine di guerre, da stati che si combattono per ampliare i confini o per motivi di supremazia economica. Ma a volere la guerra non sono i cittadini, non è il popolo: da sempre nelle guerre le conseguenze peggiori le subiscono il popolo, la gente comune.

Lo esprime in modo quasi struggente il drammaturgo e poeta Bertolt Brecht nella poesia che gli Alpini leggono sempre ai ragazzi quando parlano del 4 novembre.

La guerra che verrà non è la prima.

Prima ci sono state altre guerre.

Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente faceva la fame.

Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.

Per questo il messaggio che ciascuno di noi ha portato con sé al termine della celebrazione del 4 novembre è una semplice parola bisillaba: PACE.